Io ci sono stato nel nulla.

Blog  |  13 maggio 2013

Io ho la passione per la vita, la vita vera. E non riesco a stare fermo, devo essere sempre in movimento, alla ricerca del favoloso. E così cercando, va a finire che racconto una storia vissuta da me. Il vuoto e il nulla non sono la stessa cosa. Il vuoto è privo di contenuto, non contiene niente, che non ha niente dentro. Il nulla invece può essere il risultato di una somma. Il vuoto in potenza può essere tutto, ma poi spesso rimane vuoto, o si riempie di altro vuoto. Il nulla invece è sublime, perchè è un equilibrio, un insieme di cose diverse e opposte. E non necessita di altro. Io ci sono stato nel nulla.
Per tanto tempo ho fantasticato, sognato, immaginato di andarci. Però, pur essendo un poco esperto di viaggi, non mi riusciva di pianificare questo viaggio. Insomma non pensate mica che è una cosa facile. Tipo che apri il sito dei voli e cerchi un low cost. Oppure che trovi l’offerta sulla vetrina dell’agenzia di viaggi del centro commerciale. No. Forse, per darvi un’idea, ma solo approssimativa, è come il sedicesimo piano dell’ Hotel Dolphin. Tu sai che c’è. Da qualche parte. Ma non sai come arrivarci. Poi quando ci arrivi ti domandi: ma come ho fatto? Che strada? Che indicazioni? E non te lo ricordi bene. Ti ricordi che eri seduto forse e ti sei alzato per andare verso la porta. O forse stavi già camminando per una via di città e girando un angolo ti sei trovato lì. Comunque, io non me lo ricordo bene il punto di partenza, non ve lo voglio dire e sono sicuro che a voi poco importa. E’ più interessante per voi, sapere che l’ho trovato. E cosa ho provato.  Era buio, molto buio. Quel buio intenso a metà della notte. Buio sopra, sotto, intorno. Così circondato da buio che se fosse stato bianco avrei avuto la nausea e avrei vomitato. Perchè quando è tutto bianco intorno, come quando sei sulla neve e immerso nella nebbia, e non hai riferimenti, ti prende alla bocca dello stomaco un senso di nausea che l’unica cosa che puoi fare è pregare di vomitare subito tutto fuori e svenire per risvegliarti altrove. Invece era buio, e quel buio era confortevole, comodo, accogliente. Abitava in un portoncino piccolo, il nulla. Dimenticate candele e profumi, luci soffuse, musica soft, olii profumati, snack salati, brividi di bollicine, delicatezze alimentari, cioccolata afrodisica. Nulla di tutto questo che pure ha contato qualcosa nel passato. Solo buio. Un nulla che privo della presenza umana si è rivelato somigliante ai miei pensieri. Aveva una precisa identità, non inquietante ma inquieto. Un buio che era intimo come uno sguardo grande. E c’erano due occhi che mi fissavano. Occhi profondi come solo gli specchi dell’anima sanno esserlo. Mi volevano dire tante cose. Ma non c’erano parole. C’erano ultrasuoni che mi guidavano in quegli spazi come li conoscessi da sempre. Riconoscevo gli oggetti intorno, sentivo i vuoti occupati dai corpi, annusavo nell’aria l’odore di presenza che avevo tante volte trovato al crepuscolo. Stavo bene, non avevo senso di estraneità. C’era una bocca accondiscendente di una bellezza francese con labbra taglienti che mi avevano già lacerato. I movimenti erano misurati e silenziosi avendo una precisa idea di cosa fare. Un aroma di luce mi offre l’eccitazione. Avevo lo sguardo intrappolato dalle due gambe che già in passato mi avevano bloccato i fianchi, quando gli occhi sono stati catturati da un movimento repentino e padronale del collo che sposta il drappeggio dei capelli che pur avevano una necessità. Si, il collo. Eccitato da una torsione del collo. Un movimento carico di promesse, a volte reali a volte lontane e inafferrabbili. Tutto così perfetto nel suo essere presente e assente, languido e ribelle. Assorbiva luce per restituire energia. A volte le cose più normali si fanno sentire più di quelle rare e ricercate. L’armonia  di quel momento, era di quella bellezza  rara e isolata che trovi nella purezza, nel minimalismo. Nel nulla. Il desiderio divenne quello che non può attendere. Doveva essere vissuto subito. Dovevo avere la certezza definitiva che il nulla non fosse più sconosciuto a me. E i colori di quel desiderio erano responsabili delle emozioni che sentivo. E tutto questo dava vita a una composizione che mi regalava un senso di calma e rilassatezza che assorbiva, annullava tutto il resto. Corpo che assorbe la luce per donare le ombre. Sublime.
Non c’era da elaborare movimento o presa. Lo sapevamo entrambi e ci trovammo nella vita. Ci sedemmo, mi guardò, la guardai. La sensazione che quel momento fosse il definitivo. Come se dopo quel momento non ci potesse essere nessun altro momento. Il vuoto doveva essere colmato dal nulla. Una cosa di cui avevamo parlato ma che fino a quell’ora di notte non sapevamo come fare. Pensavo di essere consapevole, cosciente, invece ero paralizzato con il cervello. Sentivo il nulla che mi attrraversava, prendeva il posto dei neuroni, delle sinapsi, del sangue e di tutti gli organi vitali. Si stava prendendo tutto, tempo compreso. Corpo vero, quanta sei, carne e sangue, anima e testa, promesse e desideri, capace di insinuare il sospetto che molto di più si potrebbe capire, sapere, conoscere. Tuttavia, in quel tempo che ora appare nel ricordo come brevissimo, il desiderio ci avvolse come la nebbia avvolge un’autostrada. Lo scontro è stato inevitabile. Uno scontro per portarci ancora più vicini, forse troppo. Scoprivamo nella notte inattesi punti di malinconia. Forse sentimmo che dopo sarebbe rimasta solo la banalizzazione del desiderio, che ne decreta la morte. Percepimmo che le cose sarebbero cambiate, il nulla non sarebbe stato come prima. L’innocenza di un traghetto di una notte d’estate stava svanendo e noi con essa. L’essenza vera del nulla era arrivata. Lento mi alzai e con la stessa intensità dell’arrivo mi ritrovai seduto al volante. Rividi la pioggia e il tuo stile divertente, sarcastico ed esilarante. Rividi la trama intrecciata dei giornii trascorsi, una storia di crescente eccitazione di sorrisi privati che sapevo mi avrebbero portato a un soprendente finale. Rividi la paura della fantasia e la fantasia della paura che avevi. Rividi te, donna avvincente e piena di calore nel tempo rubato. Rividi te che facevi di tutto per avere l’aria di non avere l’aria. Rividi la matita verde, i cetrioli tagliati sul pane, l’intimità di un bollito a mezzanotte, il sarcasmo delle parole lancinanti, il rosso analgesico, la neve a parole, il mare ardito. Rividi i tuoi silenzi per fare in modo che tu avessi ragione di quel tuo modo di essere. Rividi il tuo frullo sereno. Me lo dico così, senza mezzi termini, senza parole mediate, senza giubbino che mi difenda dal freddo. Ma a che cosa stai sperando di arrivare?
Attraversai un altro buio, quello di un paesaggio senza connotati, senza identità. Aprii il finestrino dell’auto rivedendo le immagini del dubbio e con le lacrime, che dall’aria della notte entravano nel corpo attraverso gli occhi.



Commenti

2 commenti

  1. passare dalla luce al buio, è un attimo. Solo un attimo ci vuole per cadere nella non vita. Purtroppo.
    Bello questo post…

    Titti Panatta
    16 maggio 2013 h 16:09
  2. Bisogna conoscere il buio per riconoscere la luce e viceversa.
    Grazie Titti.

    L' Uomo Con La Valigia
    16 maggio 2013 h 16:49





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