Camera 22 – Mi sveglio senza una ragione precisa.

Blog  |  04 febbraio 2016

Mi sveglio senza una ragione precisa. Non è colpa di un rumore, della sete o di pensieri particolarmente preoccupanti. È colpa della luce che ho dentro gli occhi, vuole uscire. Così mi sveglio e non ho più sonno. Guardo l’ora indicata sul cellulare: le tre. A volte sono solo le tre. Altre volte sono già le tre. Chiudo gli occhi, ma non è un tentativo per riprendere sonno. È un modo per misurare quanta luce è rimasta intrappolata dentro. Ancora tanta. Riapro gli occhi. Finalmente esce tutta, posso richiudere gli occhi senza fastidio. Non ho sonno, penso. Penso a cose molto diverse e lontane tra loro. Tutta la realtà in questo momento è trasparente. Non oscura. Trasparente. Mi affaccio alla finestra, tuttavia non c’è nulla di reale. Se mettessi su carta i diversi pensieri e gli incroci tra di loro, verrebbe fuori una mappa come quella della metropolitana di una grande città. Linee che partono distanti improvvisamente trovano stazioni d’incontro. Amori del passato che scambiano con viaggi del presente, acquisti futuri pianificati e luoghi dell’infanzia, cosa mangerò tra due giorni e quell’appuntamento finito male. Robe così. Freud potrebbe perfino trovare noioso analizzare tutto questo. Comunque non è colpa della camera 22. Neanche colpa di ogni altra camera. Pure in quella privata accade più o meno lo stesso rituale. Unico prelibato vantaggio di quando mi sveglio nella camera privata, è che posso alzarmi e andare e preparami un caffè. Che poi non è mai solo un caffè. È una squisita prima colazione. Poi comincio a leggere. Libri sospesi, qualche mail di lavoro arrivata da oltreoceano. Nella 22 non posso fare il caffè. Il bar e la colazione saranno disponibili solo dalle sei e trenta. C’è tempo ancora per fare qualche corsa sulla linea A della metro dei pensieri. Ricordi da sapere, ricordi da ricordare.