Camera privata. Anche se ci sono io dentro.

Blog  |  18 aprile 2014

pvt

Il portone di vetro è piccolo e si fa fatica a distinguerlo tra un salone di bellezza e un bar. Al citofono non c’è nome, un codice. La porta di mezzo. E’ sempre aperta, permette l’accesso in un piccolo spazio. Due sedie davanti a tre porte. Una è filtrata da una tenda, una è di legno scuro. La terza è ricoperta da una fotografia in bianco e nero. Il suo profilo, del fumo, controluce. Si accede alla stanza dove sediamo. Alla mia destra la parete nascosta dalla libreria oramai completa in ogni spazio: libri, dischi, fotografie, calvados. Davanti una scrivania o un tavolo con pochi oggetti, caramelle in un glaciale vasetto di cristallo sfumato, una minuscola agenda con una scrittura fitta. Davanti a me un balcone con la luce che mi taglia dalla vista il suo volto, la sua poltrona. Delle volte c’è anche il silenzio. Le mani intrecciate sul grembo, lo sguardo diagonale, ho la sua attenzione. Voglio il suo interesse. Ci sfioriamo.

But not for me.

Questa è una casa vuota. C’è il vuoto che talvolta è tenero, altre avvolgente, altre ancora duro. E poi coinvolgente, paralizzante, pauroso, elettrizzante, euforizzante, spaventevole, confondente, fa perdere coscienza non temendo la conoscenza. C’è il vuoto dirompente della semplicità. C’è il vuoto del pensiero, non un pensiero vuoto. C’è il vuoto del tradimento, il vuoto del presupposto sbagliato, il vuoto delle ossessioni, il vuoto del recupero del sé, il vuoto inebriante delle proprie azioni, delle scelte tra le morti e le vite. C’è il vuoto intimo e caldo del caffè, della consapevolezza della fugacità. C’è il vuoto degli oggetti concessi. C’è il vuoto degli amplessi notturni. C’è il vuoto delle parole nei rifiuti indifferenziati. C’è il vuoto del ti voglio. C’è il vuoto dell’assenza di un corridoio, il vuoto di un percorso interiore: si passa dalla cucina ai meandri dell’animo umano sfiorando un lavandino. C’è il vuoto di una donna particolare, il vuoto di un bel volto un po’ androgino, il vuoto di un busto con molti magnifici angoli. C’è il vuoto del non ti capisco ma ti prendo. C’è un vuoto capace di continue trasformazioni. C’è il vuoto di una specie di disordine. C’è il vuoto di un materiale effimero qual è il cervello. C’è il vuoto di uno splendido corpo. C’è il vuoto del primo incontro. C’è il vuoto di una hall di un hotel a Helsinki la sera del 21 giugno. C’è il vuoto di un’aria di guerra. C’è il vuoto della musica in sottofondo. C’è il vuoto di Eleonora. C’è il vuoto dell’intermezzo. C’è il vuoto del fino in fondo. C’è il vuoto dei suoi occhi. C’è il vuoto delle molte storie da raccontare. C’è il vuoto del fracasso, il vuoto dell’agitazione, il vuoto del poliestere saturo. Questa è una casa vuota. Anche se ci sono io dentro.

How long has this been going on.

E’ alla penultima fermata della metropolitana, già fuori dalla tariffa urbana. La piazza è di quelle grandi, con stazionamento di autobus, varia umanità che attende l’arrivo o la partenza. Alla fine delle scale d’ingresso, due corridoi. Sono vuoti. Anche se ci sono io dentro.



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