Camera 407 – Il viaggio no.

Blog  |  04 marzo 2014

room407

Per tutta la sera ho viaggiato tra i miei appunti, frugando tra i miei dischi, chiedendomi da dove cominciare, come fare un inizio, non vedendo solo un dettaglio di me, ma una vita di dettagli. E ancora. Le pareti della mente sono completamente nude, ho buttato tutto giù prima di ricominciare questo viaggio. Un viaggio per conoscerti.

Mi sentivo come se fossi stato pronto per partire da sempre. Era iniziato con le macchie di pioggia sporca sui vetri che limitavano la visibilità, lo sguardo che si concentrava sulla strada che non concedeva distrazioni, le lunghe fila di auto e il loro dissolversi lento tra le luci della sera. La mente invece era tutta sull’immagine di quel cuscino, dove riposavano le nostre teste. Mentre la pioggia cadeva e il traffico diventava intenso, mi distraevo attraverso dei sogni selvatici sull’arrivo. Ero salito quasi sovrappensiero, guidavo secondo le abitudini. Eravamo in cammino ancora una volta, c’era sempre una macchina, la musica e un libro. Il tuo corpo era sempre vicino a me e lo sguardo nei tuoi occhi non cambiava mai. Eppure distante. Mi sono girato per parlarti, per rompere quel tuo violento silenzio. In un attimo ti ho visto dentro: mi sono sentito sopraffatto da infinite altre immagini di te, senza ordine, senza logica e mi sono accorto di non riuscire a fermare la chiarezza dei ricordi. Mi veniva da pensare, così noiosamente incolonnati, che il valore di una persona non dipende solo dalla sua realtà individuale ma dal modo in cui partecipa a una vita più grande e più complessa. Così mi libero della materia, mi sottraggo al baratro del nulla. Una sosta per la cena, luci al neon, sguardi smarriti di chi condivideva quell’autogrill. Qualcuno vedendoci, avrebbe potuto definirci infelici. Abbiamo ripreso il viaggio nel buio della serata inoltrata ma con una luce decisa su un mondo tutto nostro. In quell’andare con i riflessi dei fari e della neve, non riuscivo a distogliermi dai tuoi occhi, intensi, pieni di cose che non capivo più ormai. Mi rendo conto che non sono protagonista, posso solo osservare quello che scorre davanti a me. Questa sensazione durerà poco. Ho riflettuto mentre dormivi: tutto ciò che nella vita ha avuto importanza per me, si è deciso in un istante. La notte si avvicina insieme alla meta di questo viaggio. Il cielo è sempre più scuro, carico di emozioni, paure e sogni. E’ questo che mi fa sentire vivo e mi rende partecipe di qualcosa più grande del singolo desiderio. Ci ha accolto una luce giallastra mentre sentivo il tuo odore pur non avendoti addosso. Sapevo che avresti concesso un tempo convulso, fai così tu. Avevo occhi spalancati sul nulla, la mente persa e un pensiero legato a una dimensione di carne. Non pensavo ad altro. Non pensavo al tuo cuore che sai tenere nascosto. Non pensavo alla tua mente aperta da razionalizzare tutti i sentimenti e che mi ha fatto innamorare spiegandomi che si può amare ma in subordinata alla logica. Io pensavo al corpo, alla carne che era a quella breve distanza. Pensavo, e mi sono addormentato nell’inferno. Al risveglio ho pensato ai volti dietro le finestre che fronteggiavano l’hotel. Case anonime, volti anonimi. Il mattino, proseguendo la conversazione dove l’avevamo lasciata. No, era tutto diverso. Eravamo improvvisamente sereni, quasi felici. Abbiamo cominciato a ridere, a cantare, a parlare in francese, italiano e napoletano. Eravamo in cammino. Sembrava un sogno. Ma era quel sogno che avevo voluto sempre realizzare. Fermavo me stesso, sentendo quella ricca vita e varia che desideravo, e in più mi volevi, avevi bisogno di me. La tua voce era sempre più profonda, gli occhi più grandi, il tuo sangue più spesso. Un tempo consapevolmente crudele, deliberatamente crudele. Il piacere insaziabile di ricordare quest’esperienza. Da quel momento, ho sentito che non sarei più stato ragionevole. Quando siamo rientrati, eravamo cambiati. Eravamo assassini l’uno verso l’altro, completavamo quell’omicidio delle singolarità per fonderci in un’unicità. Non potrai più chiedermi di aspettare, di prendere tempo, di essere ragionevole. Sarò solo folle, continuando a pensare a tutto questo. C’era di nuovo pioggia la mattina del ritorno. E c’era un’ingombrante assenza nella stanza. Singolo. Me singolo, dico. Eravamo restati fino a tardi raccontarci delle storie di felicità, di tragedia, di desiderio. Tutti vorrebbero una buona storia. Probabilmente erano storie d’amore, certamente erano storie di vita. Della vita come la conosco. Dell’amore invece continuo a non saperne. L’amore come quella cosa che accade senza chiedere l’autorizzazione della logica. Avremmo potuto parlarne, perché a volte ci crediamo, discutiamo di questo vago e incerto senso. E’ restato seduto tra noi il silenzio.  Sono stato bene. E’ stato bello stare insieme ed è bastato. Non ci sono più parole, la strada è finita. Il viaggio no.



Commenti

2 commenti

  1. ci portiamo sempre un pezzo di qualcuno dentro di noi.

    Titti
    5 marzo 2014 h 08:05
  2. È così, ma è sempre così?

    admin
    5 marzo 2014 h 08:32





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