Camera 507 – Una necessità assoluta.

Blog  |  12 novembre 2013

507

Una semplice barca. Una porta nera. Viaggiando molto con la mente per trovare luoghi belli e armonici. Camere desolate e vuote da ricordare nella loro forma pura. La purezza è nella semplicità e minimalismo. Per questo obiettivo spengo la luce ma non il colore. Luoghi evacuati. Transiti invernali. Solo in questo periodo dell’anno è possibile vedere l’acqua verde, in combinazione con un cielo molto azzurro e il riflesso di uno nell’altra.  Alla ricerca di questo meraviglioso equilibrio. Punto e linea: radicati nella memoria, scolpiti nella mente come sul primo quaderno di scuola, rivelano il loro carattere disciplinare e la natura di claustrofobica educazione. Linee nette come quelle dei tagli falsamente delicati, provocati da un foglio di carta tra le dita. Presenze umane perdono la loro specifica identità. Porte e corridoi della memoria collettiva. Non sei in questa stanza. Le camere non promettono. Non rispondono di fiducia, non chiedono del passato. Nel passato di una sera, l’incontro fatale tra l’allevatore di sogni e il suonatore di pensieri. Un vuoto come la pace del sonno. Il mio sogno mentre il cuore veglia sullo spazio circostante. Un letto e uno specchio: l’alfa e l’omega del mio esilio in camera. La porta poco aperta. È entrato l’inverno. Oggi si è proprio sentito, sulla pelle, nella luce tagliata degli occhi bagnati. Suoni di lacrime. Ho da fare qualcosa, non qualcosa da fare.  Non osservo le regole, le spio dal monocolo sulla porta. Volti che trasmettono le loro emozioni modificando l’atmosfera. L’insopportabile sgradevole senso autoritario che assumono i sostenitori della spontaneità. Ci sono persone che stimolano l’irrefrenabile spinta di cercare oggetti del passato. Acqua e cielo trasmettono calore e colore nonostante sia novembre. A volte li sento istantaneamente, a volte mi arrivano con ritardo. Mi avvolgono di libertà, mi caricano di ottimismo e amplificano i sensi. Re minore. Camere stanche, ascensori vecchi, lunghe scale e ti chiedi se ciò che vedi sia veramente reale, realmente vero. Decadimento e abbandono in questo spazio rendono molto sottile la linea dell’orizzonte sull’acqua. Pubblico e privato sono ambienti non esistono più. La moquette non riesce a nascondere l’asperità del pavimento e la caduta è dolorosa. Il corpo è perfetto nel suo languore, non ha più energia da emanare. Limitato nella libertà, non si può dominarlo. Occhi profondi mi scrutano e si riflettono in specchi carichi di promesse che non manterranno. Sento nascere dal profondo del passato la voglia di rivendicare la mia autonomia nel nome. Non mi serve un titolo, un nome. Il mio. Non voglio obliare l’affetto passato. Definire una persona nel suo nome, non altro. Cassetti pieni di sensibilità spaiate come calze dentro la lavatrice. Realtà lontana e inafferrabile, mi restano le tue lettere, involucro di un profondo nulla. Carne e sangue, anima e cuore. Universi inesistenti. Una camera vuota. Un letto. Un cuscino. Una necessità assoluta.



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