Camera 4021 – Adesso, forse.

Blog  |  19 ottobre 2013

4021brux

Le foglie attaccate al marciapiede bagnato dalla pioggia. L’acqua che cade sui volti dei passanti è una lente che esalta i sentimenti. Se cessa, il vento non piace più. Il passo è immutabilmente frettoloso, i pensieri immutabili. La lirica di questa luce di fine sera mi guida verso la volubilità della notte. La solitudine diventa una geniale intuizione. La musica una decadente compagnia. Meglio perdersi in questo deserto di voci. Siamo quelli che si incontrano alle 3 del mattino fra la reception e il bar a ridosso della hall di questo business hotel. Uno dei non luoghi romantici d’Europa. Alla defezione del gusto estetico di questa serata nata tardi, ha risposto l’abbandono del divertimento. Le camere sono contenitori di fantasie nascoste e ragioni private. Pure o diluite con acqua, questo è il dilemma. Qualcuno ripiega su altri generi. Tentativi di ritorno dal circolo vizioso. Praticamente scomparse le fortune del giorno, si accomodano sui divanetti d’angolo corpi decadenti e anime vuote. Adeguandosi al tempo delle nuvole. Rappresentazioni di moltitudini ferme al semaforo rosso. Nessuno mi ha scelto dall’inizio, allora non sarò di nessuno. Il caldo, le luci gialle, i volti viola. Tutto intorno moquette umana. Voci incomprensibili, lingue conosciute solo nell’intimità del punto di partenza, il ricordo di uno sguardo perso nel sarcasmo. Non c’è più la sorpresa del sacchetto delle patatine. Annunci che si perdono nel vuoto, quelli che richiamano la partenza di un volo. Annunci che si perdono nel nulla, quelli che annunciano un tuo cambiamento. La privilege card mi offre una credibilità che lei invece non mi ha accordato. Bruxelles sarà una nuova casa. Casa. Non posso dire che sono immune all’idea di casa oggi, ma mi ci sto abituando. Incredbile quante volte ti abbia pensato negli ultimi giorni. Le luci sono basse, le voci alte. Bicchieri che urtano, posate che tintinnano, cigolanti spinner si avviano per il check out express. Mi chiedi se mi conosco abbastanza bene. Forse è arrivata la risposta anche per questa domanda. Ho il viso attraversato da rughe di staticità, una bocca sempre più chiusa con cui bere il caffè. Rare le volte che la uso per conversare. Nessuno l’ha mai definita interessante. Una volta mi dissero che ho il naso significativo, il nome importante che porto con leggerezza e tante altre definizioni e aggettivi sulla personalità, sulle parti del corpo, ma mai sulla bocca. La Westmall Trappist mi ricorda che non c’è luogo che non mi faccia sentire a casa come un hotel. Euforizzante. Impetuosa energia che cancella ogni possibilità lasciando solo le probabilità. Penso con aria assorta. Nessuno tra i nessuno. Mi affascina il pensiero di partecipare, anche solo per un attimo, alle emozioni, alla vita di questi volti sconosciuti, di come le nostre strade si incrocino, di come le nostre scelte partecipino inconsapevolmente, apparentemente. Di come tutto questo caos influenzi le nostre decisioni. Stanco, non ho mai capito quando le assenze nascondono paura di attenzioni. Ora che che sono nato una seconda volta, posso concordare che il carattere è il destino di un essere umano. Persone che sono qui in viaggio a volte sapendo bene perché, per quale ragione. Altre volte hanno cominciato un viaggio senza sapere bene perché, forse solo per speranza. La fine dipende dall’inizio. E questo è l’unico pensiero ragguardevole che sono riuscito a comporre nelle ultime settimane. Adesso, forse.



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