Camera 513 – Non c’era una ragione precisa quando ti volevo tenere la mano.

Blog  |  16 settembre 2013

513

 

Bentornato Mr. Francesco, benvenuto al Nordic! Un sorriso, una firma ed ho accesso alla mia terra madre, un hotel, una camera, luogo d’origine del mio vagabondare. E’ tutto così semplice: saluti, sorridi, entri. In una camera, per qualcuno. In una vita, per qualcun altro. E a pensarci bene, così dovrebbe essere. Sempre. Per entrare nella vita di qualcuno. Qualcuno a cui tengo, a cui voglio bene, amo. Poche semplici parole, un sorriso sincero e nient’altro. Niente ricerche di approcci sbalorditivi, niente iperboli musicali, niente fuochi d’artificio. Hai presente come fanno i bambini quando vogliono giocare insieme? C’è sempre uno che con entusiasmo, piacere, gioia, sorriso, apre alla vita dicendo: Ciao, io sono Francesco, vuoi giocare con me?  Si, no grazie. Niente di più. Niente, niente di resto.

Pochi giorni fa: Ciao Francesco, il tuo settembre sarà indimenticabile. Sette parole in tutto, saluto compreso. Eppure quanta forza in quelle parole. La forza di chi le ha scritte, la forza che riceve chi le ascolta. E si dovrebbe comunicare sempre così. Soprattutto se si ha voglia comunicare uno stato d’animo, un’emozione. Senza pensare ad alcuna strada da seguire. Senza elaborare stratagemmi. Senza chiedere perché. Perché. Non c’era una ragione precisa quando volevo sentirti. Se non tu.

Ma nella voce perdo spesso il dono della parola. Più ti conosco e meno sono in grado di parlarti. Viaggio nella tua mente come fosse un luogo a me conosciuto da sempre. Il tuo blu speciale, il tuo bordeaux di terra, il tuo nero dominante, il tuo verde tabacco, il tuo grigio avido, non sono solo colori. Bisogna saperli vedere per farne tesoro e capire che sono espressioni della tuo essere. Ho sensibilità tali da poter leggere la tua anima, ma non le riesco a parlare. Desidero il dialogo con te. Non quello per cui si deve arrivare a definire chi ha ragione e chi ha torto. Non quello per affermare la falsa modestia. Un dialogo in cui si possa dire qualunque cosa, non importa cosa, importa essere legati nel dialogo. Desidero che tu capisca questo, fino in fondo. Desidero che ti arrivi la profondità di un dialogo del genere. Mi avvicino ai tuoi occhi, le distanze si riducono. Non siamo più nella relazione simbolica del dialogo. Ora c’è una comunicazione diretta, da persona a persona. Eppure siamo più lontani di prima. Mi sembra di non aver imparato nulla. Come se ci fosse una luce diretta e abbagliante da sfocare tutto. Troppo bianco. Troppo tardi per dire che non c’è bisogno di dire niente. Mi avvicino, ho tante cose da dirti e invece sprofondo nell’incanto dell’osservazione. Sento di non avere tempo. Un sacco di cose da condividere con te, gli ultimi avvenimenti. Invece, la sensazione che prevale è di non avere tempo. Dall’aria arrivano risposte a domande che non ho fatto. Avessi il dono, forse, potrei recitare poesie. Un bel modo di dirti quello che sento quando non so come spiegarlo. Io non ho quel talento. Io posso solo scrivere. Se è vero che quello che diciamo non è mai quello che vorremmo dire, perché perseverare nell’errore? E allora silenzio sia! Ma non quel silenzio per dire. Non quel silenzio fratello della solitudine come affermazione di sé. Il silenzio di chi ascolta. Il silenzio di chi, persa la quiete nello sguardo silente, la ritrova nella parola scritta. Addio.  Non c’era una ragione precisa quando ti volevo tenere la mano.



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