Camera 2103 – Sono stato adottato.

Blog  |  05 settembre 2013

foto(1)

 

 

” … Vedi, Kenny, ci sono cose che non sai di sapere, finchè qualcuno non te le chiede”.

C. Isherwood, Un uomo solo

E’ stata una bellissima mattina di settembre. Una bellissima mattina di partenza, con la valigia pronta, gli essenziali al loro posto. Tra me e la valigia c’è un bellissimo patto di reciproca seduzione e un passato di incontri divertenti. E tu sei arrivata improvvisamente, con quel messaggio breve, asciutto, diretto, deciso, tagliente. Parole brevi come una lama di bisturi, hanno tagliato senza lasciare avvertire il contatto, ma hanno aperto un solco profondo e sanguinante. Ma ancora non sapevo quanto.

Pochissime parole che sono entrate facilmente anche nel piccolo bagaglio che ho portato con me. Io, la valigia e la mia testa siamo tutt’uno. Penso di essere tua sorella. Ho avuto lo sguardo sospeso a metà dell’oblò dell’aereo. In parte spossato, ho ripensato alla tua voce straniera ma accogliente, agli eventi surreali ma precisi, ai dettagli puntuali ma sconosciuti. Ipotesi, fantasie, dubbi, domande, curiosità tutto dentro di me come quella folla disordinata di turisti in transito che mi circondava. Nel caffè non ho aggiunto latte, come sempre. Ho continuato a preparare le domande da fare, ma a chi?

Istanbul mi ha accolto con la sua solita contraddittorietà di caos flemmatico, di una moltitudine di voci e odori mescolati come un unico corpo. Immerso nello spostamento, la mattinata mi è sfuggita fino a quando sono arrivato in camera. Il silenzio del ventunesimo piano, i tetti delle case che appaiono lontani, la vista del mare. Tutto è quieto e immobile intorno a me. L’ordine glaciale di questa camera è in netto contrasto con il disordine creato dal vento gelido dei miei pensieri. La finestra corre lungo tutta la parete esterna, mi offre una vista mozzafiato. Ho i piedi sospesi nel vuoto, grazie all’architettura del pavimento in vetro. E’ l’hotel in acciaio più alto di Istanbul e d’Europa. Vertigini. Ed è così anche dentro. Un vuoto si apre nel passato. Parole che hanno inghiottito persone, volti, momenti. Dal passato sottraggo i tratti di alcuni visi e guardando la tua foto cerco di ricostruire un ritratto, ma è poco. Poco anche per il ritratto degli eventi. Persone che parlano una lingua nuova.  Mi siedo per terra, il pavimento è attraente. Sto bene, ma soffro di curiosità. Sento di meritare tutta la quiete che questa stanza offre. Penso che qualcuno mi stava cercando. Penso che qualcuno si stava occupando di me. Penso che qualcuno stava nascondendo me. Intorno a me, nel corridoio le porte delle camere. Sono chiuse, sembrano uguali da fuori, nascondono alla vista le loro differenze. Una bella metafora con la mia vita. C’è una camera che ho vissuto come la mia camera. Ne conosco ogni oggetto, la loro storia, quando sono arrivati, come sono arrivati, chi li ha portati. E il corridoio appare più lungo ora, con una nuova porta in fondo. Un me è seduto, fermo. Un me è in piedi, cammina. C’è una nuova camera, può sembrare uguale ma non lo è. Non evito di guardarci dentro. Voglio guardarci dentro. Sono tutti morti. I genitori adottivi sono morti. La madre che mi ha messo al mondo è morta. Entrerò per cercare le domande, conoscere le linee di questa storia, i lineamenti dei volti di una madre troppo giovane per vivere come tale ma consapevole di esserlo.

Le domande sono più numerose delle bottigliette del frigobar. Non sono stanco, mi sento bene, ma questa situazione meriterebbe di essere descritta da degli aggettivi tedeschi. Mentre mi siedo al bar, giunge dal soffitto una musica, si mescola ai pensieri. Sembra tutto un rumore, un disturbo, ma resto fermo, quasi ad aspettare che la melodia si faccia avanti. La mente è ancora in disordine e non c’è servizio in camera adatto. Osservo il bicchiere come lo si fa nelle lunghe ore di attesa. Ma non sto attendendo, mi rendo conto che sto già andando verso quella porta. Mi chiedo se ci sono errori in questa giornata. No, nessun errore. Non so perché, ma non sono neanche sorpreso di aver accettato il tuo invito, di aver ascoltato la tua voce, di osservare il tuo volto. Di essere stato colpito dalla tua domanda: sei stato adottato? Dal fondo del corridoio il pensiero mi viene incontro. Ha un volto coperto ma l’aria amichevole. Sono stato adottato.



Commenti

Nessun commento.





HTML tags: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

Inviando il commento si autorizza effesessantasei alla riproduzione, citazione del commento e del nome dell autore, del sito web indicato. Osservazioni inadeguate e irrilevanti, commenti ritenuti offensivi, oltraggiosi saranno rimossi a discrezione di un amministratore. Il tuo indirizzo email viene utilizzato solo a scopo di verifica, non potrà mai essere condiviso.