Camera privata – Conosco il tuo nome.

Blog  |  24 agosto 2013

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Nella sabbia, disteso e per buona parte del corpo, sommerso. Una sabbia sottile, rossa, calda, pungente. Fastidiosa. Si insinua dappertutto. Mi sta bloccando. Più cerco di muovermi e più si infila nelle gambe dei pantaloni, nelle maniche della camicia, della giacca. E’ liscia, scorre velocemente. Muovo un braccio per farla cadere ma è già sotto le ascelle. Dai pantaloni sta risalendo fino all’inguine. Gli occhi sono chiusi, troppo sole, troppo caldo. La sabbia entrerebbe nelle orbite oculari, asciugherebbe le lacrime. Irritante tutto questo. Immagino ci sia qualcuno intorno, sento dei passi che fanno muovere altra sabbia. Cerco di parlare, anzi gridare, apro la bocca, sto per lanciare un urlo con le due sole corde vocali funzionanti. La bocca si riempie di sabbia, sto soffocando, la sento che scende nell’esofago, tossisco e cerco di sputarla fuori ma non ho saliva. Sento la fine, crollo con la testa e batto. Il rumore mi fa aprire gli occhi, c’è un altro me che mi guarda dall’alto. Sono stupito. No, sono curioso. Comincia a parlare. Io non sono andato via. Io non ti avrei lasciato qui da solo. Non in questa calma piatta sotto il sole. Ho sentito ancora la tua voce, la voce di quel ragazzo perduto. Non potevi parlare, avevi paura di prendere di nuovo il rischio di rimanere bloccato. Ho sentito ancora la voce di un ragazzo in un uomo. Il bambino che ti eri lasciato alle spalle. Vieni, la luce qui si affievolisce, qui i ragazzi si sciolgono, si aprono, tornano a parlare. Le parole di dolore giacciono mute sulla sabbia, e nel silenzio scivolano sotto la sabbia. Vieni, alzati e prendi qul ragazzo per mano. Non lasciarlo. Riprenditi il suo entusiasmo, la luce e il grido. Poi va via.

Il risveglio è di quelli senza bocca e senza occhi. Anche senza una meta a dirla tutta. Avido di te, sei ora più distante che mai. Di te, delle tue parole mi rimane un eco, a volte spezzato, a volte indistinguibile dai primi rumori della luce. Vorrei rincorrerti in quel vento. Rincorrerti mentre mi sfuggi tra tutte quelle persone disseminate con sbadataggine nei vicoli che percorri. Vedo la tua figura stagliata nitidamente, il tuo corpo fluttuante e la mente ignara della mia presenza. Appena sveglio e di nuovo mi perdo in queste sequenze: sono giorni che non riesco a togliermele dalla testa. Ti giri, mi osservi, resti immobile, silenziosa e scostante. Questo già dal mattino. Come può una donna avere contemporaneamente quegli occhi e quello sguardo? Occhi che emanano riservatezza, sguardo che segna un tracciato invisibile. Con sicurezza in te stessa soffochi gli impulsi, uccidi ogni impeto e padroneggi la tua fuga. Io resto a guardare. Conosco il tuo nome.



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