Camera 808 – Ti ho detto che ti voglio?

Blog  |  13 luglio 2013

808

Ottocentotto, la mia camera. Mia come la vita. E come ogni vita, anche questa camera deve finire.  Mia, come sono io ad essere suo. Il suo cliente. Siamo soli, seduto uno di fronte all’altro. Sa che un giorno me ne dovrò andare. Sappiamo che ci saluteremo. Alzeremo gli occhi e simultaneamente non avremo più niente in comune. Sembra così facile, vero? Fare pochi passi, senza dire parole, uscire e respirare altrove. Vivere senza fidarsi, aspettarsi. Potersi muovere, senza mai tirare fuori tutto ciò che hai in valigia, senza mai condividere fino in fondo la mente, i pensieri. Andare via e portare con sé qualche immagine. Tutto ciò che riesco a vedere, solo ciò che riesco a vedere con i miei occhi sono allenati. Ma forse è la camera a trattenere più ricordi. Non lascia mai contaminare il suo spazio fino in fondo. Mi ruba le parole come qualche ospita ruba i saponi. Inghiotte ogni mio pensiero come un ospite assetato assalta il minibar. Non chiede, non parla. Prende, pretende. E non lascia ad alcuno restare dentro a lungo. Respiro lento, osservo la finestra che affaccia sull’aeroporto. Una scrivania, un dock per ascoltare musica dall’iphone, due bicchieri di cristallo, una cartella in pelle nera con carta da lettere e logo dell’hotel, una matita nera, istruzioni per il servizio in camera, il menù del bar, l’elenco dei canali tv, le istruzioni per emergenze, una lampada di acciaio brunito, un cavo per collegamento di rete, il listino prezzi del minibar, un cartellino che ricorda che è vietato fumare, un avviso di ammenda da 1,500 corone svedesi se si fuma in camera, uno specchio che mi dice you look great, un’apribottiglia di acciaio, una bottiglia di acqua with compliments, un bollitore di acqua, due tazze da caffè o the, bustine di caffè liofilizzato, sacchetti da the, latte, zucchero, due cucchiaini, una busta per la lavenderia, la distinta con i prezzi per la lavanderia, un asse da stiro, un ferro da stiro, appendiabiti, poggiavaligia, asciugamani di riserva, accappatoio con monogramma dell’hotel, pantofole in spugna. Sono un uomo fortunato a poter contare su questi oggetti a cui voglio bene. Dopo tutto, sono solo un altro essere ospite. Si, quanta luce quassù. Ti penso, e mi scopro a sussurrare di restare con me, sei tutto ciò che riesco a vedere. O a volere. Nessuno lo sa meglio di te. Tutti gli altri pronti ad andare via, fare il check out dall’hotel per tornare alle loro vite. Io che vorrei restare facendo check out dalla vita. Incrocio gli occhi leggeri e il sorriso caldo di mattino di una stagista, si ricorda di me, di qualche settimana fa. Parole in una lingua comune eppure straniera per entrambi. Viso aperto, domande senza risposta attesa. E mi trovo a creare parole per raccontare una realtà diversa. Mi stupisco ancora ogni giorno. Come fosse il primo giorno davanti al tuo volto. Ti ho detto che ti voglio?



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