Camera 911 – Il dialogo scomparso.

Blog  |  02 novembre 2012

Lo dico subito, direttamente e senza fraintendimenti: mi manchi. Quello che ho oggi è il ricordo del nostro dialogo. Era un dialogo particolare certo, ma pur sempre un dialogo. Quanti momenti passati in silenzio, ma c’era dialogo. Quanti momenti passati insieme ognuno immerso nei propri ricordi, ma era un dialogo. Quante volte ci siamo detti solo piccole cose, ma era un dialogo. Quegli appuntamenti quotidiani quasi fissi, ma era un dialogo. Mi manca così tanto che una parte è ancora presente, intatta. Allora mi sveglio al mattino e il primo pensiero è di dirti buongiorno. E siccome non posso sapere come sarà la tua giornata, cosa prevede di particolare, provo a immaginare. Come hai dormito, se hai riposato, se hai sognato. Se camminerai, cosa mangerai, chi incontrerai. Se sarà una giornata particolare o sarà scandita dalla routine. E poi ti racconto la mia. Se ho sognato, ammesso che me lo ricordi. I miei spostamenti, i miei appuntamenti, le mie attese. E poi provo a immergermi in strade, suoni, rumori, parole, che non lascino la mente libera. E’ metà giornata, non mangio lo sai. Mi fermo, un caffè. Quanto basta per guardare il telefono. Poi ti racconto che forse parto per la Francia fra una settimana, o che forse rimando perchè prima c’è una riunione. E torno a pensare alla tua prima mezza giornata. Immagino un tono di voce calmo, quasi sussurrato. Forse annoiata anche tu dalla ripetizione sempre uguale di eventi, come se la vita fosse immobile. Con la mente che invece vorrebbe altro, andare via. Una stanchezza permanente come rumore di fondo. Dai ci sentiamo stasera, è il saluto di sempre. E di nuovo sassi, strade, sole, vento, acqua, asfalto, polvere, carte, telefono, computer, porte. Apro quella delle nuova camera. Ho un nodo alla gola. Mi concentro sull’aprire la valigia e mettere in ordine il necessario. Dura poco, sono gesti abituali che ripeto ad occhi chiusi e non richiedono attenzione. Mi stendo sul letto, guardo il telefono. Di soprassalto mi dico che devo chiamarti. Non posso. Non c’è numero che funzioni.  Allora, senza voce, ti dico: ciao, come stai? Ti ascolto, la voce è un poco più stanca ma guarda innanzi alla sera che promette riposo. Mi parli della tua poca voglia di mangiare e delle domande senza risposta che sono quasi sempre le stesse. E’ un raccontare per metterle in ordine nella tua mente, come metti in ordine le cose che hai per casa. Ti racconto qualcosa. Cerco di non parlare più del lavoro, ti descrivo la camera. Ho voglia di raccontarti cose che penso, che sento, quasi per paura che il tempo possa scorrere senza riuscire a dirtele tutte. Ecco lo schiaffo che mi fa sobbalzare sul letto. E’ vero, il nostro tempo è trascorso e non ti ho detto tutto. Perchè? Non importa quale sia il perchè. Non l’ho fatto. Cerco di uscire, l’aria magari mi aiuterà a non pensare. Falso. Dopo cena, di nuovo la camera con le parole ancora vaganti nell’aria. Mi metto a letto e ti parlo. Di quanto vorrei che…  Mi manchi.



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