Camera PslA – Finchè ci sarà una camera dove andare.

Blog  |  17 dicembre 2010

questo post fa parte di PslA 2010
Le mie giornate iniziano e finiscono con una camera. In fondo è sempre uguale. E’ con la mente che ti ritrovi ad aggiungere particolari a qualcosa che è sempre uguale. Indizi che ai più non significano niente ma che rappresentano il tuo universo. Universo fatto di resistenza e elasticità, alti livelli di energia e sospensioni colloidali. Mentre intorno il passare del tempo ti scivola sul corpo. Il tempo che manca, il tempo che ci vuole, il tempo che avrò. A volte ha un effetto benefico, a volte è un richiamo inconscio, tipicamente surreale che ti spinge ad andare. Un altro viaggio da fare. Il viaggio è probabilmente l’elemento che più ha contribuito alla continuità del nostro dialogo. Non frega nient’altro. Delle parole, degli oggetti, delle storie. Unico interesse è finire per ricominciare. E l’itinerario per arrivare alla prossima camera. Un viaggio con tanti posti occupati e nessun occupante. Vicini per un poco. Un viaggio per te dai gesti elementari e per me dalla disciplina durissima. Senza cambi di direzione, ineccepibile sotto certi punti di vista nel sentire di essere predestinata a prendervi parte. Ma sempre gelosa delle parole. Io non ho voglia di trasgredire perchè ho avuto regole rigide, ma perchè lo voglio. Sapere perfettamente cosa voglio, sapere che non basta. Non avendo nulla da dimostrare ho creduto in me stesso. E tu che volevi essere assoluta protagonista sugli altri viaggiatori. Chiacchieroni e silenziosi. Ansiosi e rilassati. Svegli e dormienti. Tutti connessi in unico spazio. Libri, scarpe, borse, giacche, colori. Quante possibili trame narrative. Tutti buttati alla rinfusa nella mente creando un nuovo ordine. E’ la solita storia. Cerchi di capire gli altri ma in realtà stai cercando di capire te stessa. Un viaggio con un dialogo di di grande intensità, perchè liberi uno con l’altra. Non porsi dei limiti. Prendere la testa tra le mani come fosse la vita e prendere la vita come fosse la testa e scuoterla. Un viaggio in cui tutto quello che sta intorno se lo voglio diventa mio. Andare fino all’ orlo dell’eccesso e tornare indietro. Se serve, non ci penso due volte a chiudere tutto e ripartire e ricominciare, senza malinconia. Mi muovo. Altre strade, altri arrivi. E poi ascensori, e corridoi, e porte, e camere. E luci da accendere, sequenze come riti, senza dimenticare nulla, di nuovo in compagnia dell’attesa mia. Con la parte istintiva faccio un altro lavoro: valuto gli spazi, osservo la disposizione degli interruttori, le cose che mancano. Poi, pian piano i pensieri prendono la loro strada, inizio a imbastire una storia, cosa c’è, cosa manca, cosa fare, chi chiamare. E’ la solita storia. Finchè dura. Finchè ce la faccio. Finchè ho ancora qualcosa da raccontare. Finchè ci sarà una camera dove andare.



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